Incontro di chiusura delle attività dell’Associazione Eumenidi prima della pausa estiva

Incontro di chiusura delle attività dell’Associazione Eumenidi prima della pausa estiva

Il 26 Giugno si è tenuto l’incontro di chiusura delle attività dell’Associazione Eumenidi prima della pausa estiva, a Verdeto Agazzano (PC).

La partecipazione dei numerosi Soci, figli, genitori e terapeuti, è stata molto attiva; una coppia è venuta dal Canton Ticino.

Allegato il testo della sintesi dell’incontro

VERDETO, 26 giugno 2016

Benvenuti, cari Soci e Ospiti, a Verdeto.

Questa pieve sita lungo la via Francigena è rinata dopo un lungo periodo di silenzio e di abbandono per un sogno di bellezza condiviso da un architetto del luogo e da un parroco, don Pietro Cesena; un sogno che ha preso forma tra tante difficoltà superate giorno dopo giorno grazie alla creatività di una visione, il sudore, lo spirito di sacrificio e la tenacia.

Questo è un luogo dove il tempo viene scandito dall’incontro conviviale, dalle espressioni dell’amicizia, dalla condivisione dei dolori della vita, dai sogni giovanili e dalle riflessioni della maturità, dalla speranza e dalla preghiera. Un luogo, in sintesi, di spiritualità cristiana che dà un senso grande alla carne e allo spirito dell’uomo. Vi si celebrano matrimoni, battesimi e incontri dove la verità dell’uomo emerge con varie intensità di luce e ombre.

Il luogo è dunque adatto per affrontare con uno spirito di autentica convivialità un tema che si riannoda agli argomenti precedentemente affrontati. Sono consapevole che la mattinata inizia con un impegno non trascurabile, ma proseguirà con maggiore leggerezza nello spirito di amicizia così ben definito dal poeta Jorge Luis Borges:

 

AMICIZIA

Non posso darti soluzioni

per tutti i problemi della vita.

Non ho risposte per i tuoi

dubbi o timori,

però posso ascoltarli

e dividerli con te.

Non posso cambiare né il tuo passato

né il tuo futuro,

però quando serve

starò vicino a te.

Non posso evitarti di precipitare,

solamente posso offrirti la mia mano

affinchè ti sostenga e tu non cada.

La tua allegria, il tuo successo

e il tuo trionfo non sono miei,

però gioisco sinceramente

quando ti vedo felice.

Non giudico le decisioni

che prendi nella vita,

mi limito ad appoggiarti,

a stimolarti e aiutarti se me lo chiedi.

Non posso tracciare i limiti

dentro i quali devi muoverti,

però posso offrirti

lo spazio necessario per crescere.

Non posso evitare la tua sofferenza

quando qualche pena ti tocca il cuore,

però posso piangere con te

e raccogliere i pezzi

per rimetterlo a nuovo.

Non posso dirti né cosa sei

né cosa devi essere,

solamente posso volerti come sei

ed essere tuo amico.

In questo giorno

Pensavo a qualcuno che mi fosse amico:

in quel momento sei apparso tu…

non sei né sopra né sotto

né in mezzo alla lista.

Non sei né il numero uno né il numero finale,

e tanto meno ho la pretesa

di essere io il numero primo, il secondo

o il terzo della tua lista.

Basta che mi vuoi come amico.

Non sono gran cosa,

però sono tutto quello

che posso essere.

 

Come introduzione dell’argomento di questo nostro incontro che espliciterò nella conclusione, e nello spirito di condivisione di esperienze di bellezza che è costitutivo della nostra Associazione, vi propongo una breve esperienza musicale, una sintesi di brani di Schubert,Boccherini, Mozart e Beethoven, ricchi di sentimento ed evocatori di intense emozioni grazie a un linguaggio musicale classicamente contenuto.

Il tempo scandito dalle melodie che abbiamo udito – e quindi vissuto – è qualitativamente diverso da quello spesso noioso, piatto o tumultuoso della quotidianità. La musica ci immerge in un’atmosfera magica in cui l’istante, irripetibile, ha il sapore dell’eternità.

L’istante è il presente che viviamo, o meglio il presente del presente che è attenzione secondo la celebre definizione di Agostino; ma non è disgiunto dagli istanti della vita già trascorsi che sono il presente del passato o memoria, né, soprattutto, dagli istanti in cui si formula il sogno, il progetto, il desiderio del futuro: l’aspettativa.

L’istante vissuto nella realtà, qui e ora, è dunque molto di più di ciò che immediatamente percepiamo perché è vivificato dalla memoria e gravido di aspettative. La sua profondità almeno in parte sfugge alla nostra attenzione: il tono emotivo condiziona la consapevolezza, e quindi la gioia, di aver appena vissuto la grandezza e bellezza della creatività umana simboleggiata dalla musica; condiziona l’intensità del sentimento di amicizia che lega molti di noi in un intreccio di esperienze che si influenzano vicendevolmente.

Il significato dell’istante ha indubbiamente l’impronta del mistero, così vasto e profondo da trascenderci e da richiamare l’immagine dell’eternità.

Dante descrive questo rapporto nel XVII Canto del Paradiso:

La contingenza, che fuor del quaderno

de la vostra matera non si stende,

tutta è dipinta nel cospetto etterno.

Un celebre protagonista della poesia “negativa”, Eugenio Montale, ci mostra come la parola tenta di descrivere la pregnanza dell’istante e l’”oltre” della contingenza (Maestrale, in Ossi di seppia):

S’è rifatta la calma

nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.

Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma

a pena svetta.

Una carezza disfiora

la linea del mare e la scompiglia

un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora

il cammino ripiglia.

Lameggia nella chiarìa

la vasta distesa, s’increspa, indi si spiana beata

e specchia nel suo cuore vasto codesta mia povera

vita turbata.

O mio tronco che additi,

in questa ebrietudine tarda,

ogni rinato aspetto coi germogli fioriti

sulle tue mani, guarda:

sotto l’azzurro fitto

del cielo qualche uccello di mare se ne va;

né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:

“più in là”!

In uno dei massimi capolavori della letteratura, il Faust di Goethe,il protagonista, disposto a vendere l’anima al diavolo pur di godere di un istante di vera felicità, esclama: “Fermati istante!”. E’ significativo che non lo esclami al culmine di un piacere, ma di fronte a un’opera necessaria agli uomini e da loro costruita: l’istante e l’eternità convergono così nella dimensione relazionale, comunitaria. Non è infatti possibile godere e gioire chiusi nella propria soggettività, nell’angustia del proprio io, e se godimento c’è, è malato, e la guarigione consiste nell’apertura della mente e del cuore alla vera gioia.

Parimenti è illusorio, irrealistico e quindi fonte di sofferenza, pensare all’eternità senza il passaggio della morte: il rifiuto del solo pensiero della morte toglie rilevanza all’istante, perché ogni istante finisce con l’essere simile a quelli trascorsi, senza la percezione che esso è dono. Solo dando rilevanza al singolo istante possiamo innamorarci della vita, per quanto dura essa possa essere, possiamo essere attenti alle differenze e al giusto peso da dare alle esperienze. Le esperienze assomigliano a una partitura musicale: sono soggette a infinite varianti, similmente ai suoni riprodotti, i quali se non fossero trattenuti nella memoria perirebbero. Eppure non siamo o non vogliamo essere consapevoli di tanta ricchezza: il tempo che viviamo spesso non ha tempo, è vuoto, è un sopravvivere all’esperienza che si svolge nel tempo. E non è proprio il “tono minore” dell’esperienza a trasformarci in spiriti tristi, malmostosi, irascibili? A renderci individui passivi, suggestionabili, fragili, paurosi?

Ognuno, rendendosi conto che gli stanno sfuggendo istante ed eternità, cerca la una soluzione. Il poeta T.S. Eliot fornisce una interpretazione nel linguaggio suo proprio:

La curiosità degli uomini indaga il passato e il futuro

e s’attiene a quella dimensione, ma comprendere

il punto d’intersezione del senza tempo

col tempo è un’occupazione da santi…

E nemmeno un’occupazione, ma qualcosa che è dato

e tolto, in un annientamento di tutta la vita nell’amore,

nell’ardore, altruismo e dedizione.

 

Nel percorso culturale degli incontri di Verdeto abbiamo parlato insieme della bellezza, delle immagini che la raffigurano, del desiderio, dell’aspirazione alla felicità. Ci siamo chiesti come possiamo vivere una vita pienamente umana, rafforzando la nostra identità personale.

La risposta è stata: sviluppando le virtù, e abbiamo discusso sul perché e sul come svilupparle.

Il discorso ci ha portato a dare una risposta individuale al modo con cui affrontiamo la realtà, sull’uso che facciamo delle nostre risorse anche nei momenti difficili, disarmonici dell’esistenza. Questa introduzione sottolinea l’importanza di “essere attenti” alla contingenza e l’importanza della consapevolezza nel leggerne il senso immediato e il senso più profondo che rimanda al significato esistenziale.

Se ignoriamo o neghiamo la domanda di senso siamo afferrati, come molti contemporanei, dall’ansia noogena (*), cioè dall’ansia generata dal dubbio dell’assenza di senso della vita.

—————————

(*) Nous = mente, intelligenza. Secondo Aristotele è la causa finale, non contingente, del mondo: le cose tendono verso il Nous  spinte dall’amore e dall’ammirazione. Il Nous si identifica con il motore immobile. Per Plotino (III sec. dopo Cristo) il Nous è la prima emanazione dell’Uno: “Pensare vuol dire muoversi verso il Bene e desiderarlo”.

——————————————————

Per comprendere il senso degli avvenimenti della vita e il senso più specifico della circostanza occorre il discernimento, che in questo contesto è la facoltà di effettuare delle scelte in conformità con le nostre esigenze profonde. Esso dovrebbe guidare le nostre scelte di vita nel percorso di ricerca della felicità che tutti compiamo. Le scelte di vita sono avvenimenti interiori che mettono in gioco le responsabilità individuali e meritano il rispetto della riservatezza. Ciò che a noi interessa oggi, dopo aver in precedenza parlato della felicità e dei mezzi necessari per conseguirla, è dare maggior luce al punto di partenza del percorso: l’io.

Vi propongo di rispondere in modo sintetico e del tutto anonimo, su dei post-it, a queste difficili domande; ci divideremo in due gruppi, quello dei giovani e quello dei genitori, e poi discuteremo insieme quanto siamo riusciti a elaborare.

1) Chi sono io?

2) Se riconosco di essere una unità di diversi componenti, dove risiede il nucleo della mia persona?

3) Nella mia esistenza quotidiana la realtà dell’io è espressa o nascosta?

à Questa domanda si deve intendere così: si mantiene stabile il mio io nel fluire degli

avvenimenti? E se è vero, come si verifica ciò? Se non è vero, che cosa e chi

m’impedisce di essere me stesso? Perché e in che modo questo accade?

LAVORO dei SOCI

Suddivisi in due gruppi – ragazze e genitori -, i Soci hanno sinteticamente espresso le loro risposte su dei post-it che sono stati successivamente raccolti in gruppi di senso e letti.

Ne è seguita una interessante discussione che ha sottolineato l’importanza e la difficoltà dell’argomento trattato. Ecco le risposte:

Domanda 1: Chi sono io?

  1. a) Gruppo delle ragazze:

Io sono una persona; Io sono una relazione (il mio io si riconosce quando entra in relazione con l’altro; mi riconosco nella misura in cui conosco l’altro); Io sono le mie risorse, le mie caratteristiche (descritte); Io sono in divenire; Io sono in base al ruolo (figlia); ho incertezza riguardo all’Io; l’Io come centro di esperienze.

 

  1. b) Gruppo dei genitori:

Io sono una persona; Io sono le mie risorse; Io sono unica e irripetibile; Io come identità; Io in base al ruolo (genitore, donna/uomo, lavoratore…); Io sono un mistero; Io conosciuto in quanto in relazione con gli altri; Io come relazione con la trascendenza / con Dio; Io come desiderio di bene; Io come strumento di Dio teso al bene; Io come immagine di Dio; il mio Io attratto dai rami dell’albero ma dimentico delle radici; Io sono un’identità che appartiene a tutte le altre identità; Io come identificazione con la stabilità interiore; Io come autenticità tra le prove della vita; Io non so chi sono, mi nascondo agli altri e a me stessa.

 

Domanda 2:dove risiede il nucleo della mia persona?

a)Gruppo delle ragazze:

è come un puzzle… se si tolgono dei pezzi l’insieme non ha senso, ma il nucleo forse sta nel cuore; nell’anima; il mio nucleo è nel ruolo, in particolare l’essere parte della famiglia; sento il nucleo quando faccio parte di un contesto; è un’armonia delle parti, una sinfonia; il nucleo sta nella mia personalità, nelle mie scelte; sta nella mente, nella ragione; nell’armonia tra anima, mente e cuore.

  1. b) Gruppo dei genitori:

è la voce interiore che mi dà speranza; sta nella coscienza; sta nell’anima; sta nella relazione con Dio; sta nel cuore; sta nell’equilibrio; sta nella relazione con l’altro, si riconosce nel conoscere l’altro; sta nella relazione con chi mi ha creato; sta nel fare il bene; sta nel desiderio di apertura; sta nel ruolo in relazione con l’altro, ma senso di deprivazione; il nucleo è parte di una struttura organizzata; è un nucleo itinerante; è troppo stabile (rigido/poco plastico?); nucleo nella capacità di inventarsi, di rinnovarsi, e nell’abbandono e nella perdita di gravità.

 

Prima di passare alla domanda 3), il Presidente cita il pensiero di Edith Stein sul nucleo della persona, tratto da ”Il discernimento secondo Edith Stein”, pag. 37-39, cap. 6 (San Paolo ed. 2005): i vari poli specifici della persona (la carne, la coscienza, l’inconscio, i sentimenti) rivelano una unità sostanziale, un fattore di unificazione,  che non può ridursi a nessuno di quei poli, ma semmai li precede. Possiede una radice che è lo strato più profondo, il nucleo che non può essere più diviso.

 

Domanda 3: Nella mia esistenza quotidiana la realtà dell’io è espressa o nascosta?

  1. a) Gruppo delle ragazze:

la realtà del mio io sta nell’andare contro-corrente; svelo l’io quando mi fido, altrimenti ho una maschera; sento il bisogno di essere accettata e non giudicata; l’io non è stabile per l’influsso del male; è stabile ma talora offuscato dall’ansia; nascondo l’io dietro una maschera ma vorrei toglierla; l’io è un po’ nascosto, offuscato da pensieri negativi che avverte intorno – il nucleo sta nelle radici salde.

 

  1. b) Gruppo dei genitori:

l’io troppo spesso si adatta agli altri, per cui ne consegue insoddisfazione e senso di prevaricazione; l’io risente del genitore interiorizzato; io soffocato dagli avvenimenti o dalle necessità materiali; io stabile se c’è Dio; equilibrio tra l’io e l’altro; io stabile se c’è disponibilità verso l’altro; non riesco a dare credibilità al mio io; io risente degli stati della coscienza e degli avvenimenti trascorsi; l’io non è espresso nella quotidianità ma nella creatività.

 

Nel corso della discussione sono emerse diverse “parole chiave”, la prima delle quali è la “maschera” citata da ragazze e genitori: essa sembra essere una forma di difesa verso il prossimo, dovuta al grande desiderio di trovare fiducia e all’esperienza contraria della paura che la fiducia venga tradita: una modalità di difesa che evidenzia la variabilità delle espressioni dell’io individuale in relazione all’ambiente. Se l’io non è ancora stabile, la maschera può costituire un pericolo per la persona quando diventa il modo di apparire agli occhi altrui, coprendo il vero io e creando confusione.

Le ragazze hanno evidenziato di vivere un’atmosfera comune di insicurezza sulla vita e di ricerca della propria identità. Il Presidente ha sottolineato l’apparente contraddizione che emergerebbe dalle risposte degli adulti di riferimento, i genitori, che mostrano l’assenza di certezze granitiche e di un Io sempre stabile. Ciò non dovrebbe costituire un ulteriore motivo di insicurezza per i giovani che cercano risposte dagli adulti che danno loro le regole (alcune ragazze hanno identificato il loro Io nel ruolo di figlia che svolgono in famiglia), ma alla luce del concetto di famiglia come “educazione senza competenze, amore senza dipendenza e libertà senza indipendenza” (citato da F. Hadjadj, Ma che cosa è una famiglia? Ares ed. 2015), le insicurezze e gli errori dei genitori rappresentano una onesta palestra di vita per i figli e un esempio di come le persone dotate di affettività e buona volontà procedono nella vita: costruiscono l’Io e la sua stabilità attraverso la fatica del quotidiano, la correzione dell’errore e la speranza sempre viva di poter migliorare le cose, per quanto difficili possano sembrare.

Come sottolineato da Susanna Cassinelli, il buon genitore riconosce i suoi limiti, non li teme, sa contenere le ansie di crescita: è un genitore sicuro della sua insicurezza. Non bisogna preoccuparsi della fragilità propria e dell’altro, ma della percezione di onnipotenza, percezione che oggi troppo spesso nasce in famiglia, laddove il bambino è un piccolo dittatore cui tutto è dovuto: è questa una modalità educativa che favorisce il disadattamento alla vita e la patologia narcisistica. Il citato Hadjadj sostiene, giustamente, che il bambino deve stare alla periferia della famiglia, non al centro, anche per poter raggiungere l’autonomia al momento giusto. La discussione tocca l’argomento della struttura della famiglia, dell’assenza del padre, delle cause del venir meno del principio di autorità e del significato del ruolo del genitore come prescrittore di regole e dispensatore di affetto non inibente. Per poter dire dei “no” dal significato educativo è necessario avere la consapevolezza delle motivazioni e avere almeno un’idea sul proprio percorso esistenziale nei passaggi dell’infanzia-adolescenza-giovinezza-età adulta. Il rischio educativo è sempre presente, ma la volontà di bene e la forza della speranza sostengono i genitori nella quotidianità, come tante storie dei Soci dimostrano. E le storie non finiscono “male”, ma ci vuole pazienza, una virtù fondamentale di cui si parlò in un precedente incontro. Le virtù rimandano al centro, al nucleo della persona.

Per alcuni il nucleo dell’io si trova attraverso la relazione con l’altro; si tratta di una relazione complessa che richiede un non facile equilibrio, perché l’apertura all’altro, vissuta nel ruolo (genitore, compagna/o, lavoratore…), rischia di far perdere la stabilità all’io, di confonderlo e “spezzettarlo” in parti difficili da collegare. Di qui l’esigenza, molto sentita, in particolare dai giovani, di poter riporre fiducia nell’altro, e la paura di vederla tradita o di essere giudicato.

Susanna Cassinelli ha sottolineato come sia naturale entrare in vari ruoli nella vita quotidiana, senza peraltro con ciò perdere l’unità dell’io; appare giusto non svelarsi troppo quando l’altro non ci può capire, bisogna avere la capacità di calibrare l’esposizione.

E’ stato espresso un grande bisogno di autenticità, soprattutto da parte dei giovani, i quali tendono a “indossare una maschera” per il timore di essere feriti quando si mostrano così come essi sono. In relazione a ciò, il Presidente ha sottolineato l’esemplarità della contingenza che si sta vivendo nel gruppo, costituito da persone giovani e meno giovani, tutte accumunate da esperienze di sofferenza. Gli adulti hanno imparato a non esprimere giudizi di valore sui figli, ma solo sui comportamenti alla luce di fatti oggettivi; in tal modo i figli si sentono accettati e possono aprirsi senza finzioni. Gli adulti hanno la grande responsabilità di trovare e applicare le modalità idonee alla valorizzazione delle risorse dei giovani nella verità, cioè nell’aderenza alla realtà contingente. Ritorna il discorso sulle virtù, oggetto di un incontro precedente, e della non ovvietà della loro importanza in un mondo dominato dall’utilitarismo e dal relativismo etico. Alcune ragazze hanno esplicitato con le loro risposte di volere un Io che va contro corrente, che non si adatta, cioè, alle mode in auge che costituiscono un “valore” necessario per appartenere al gruppo dei pari.

Le ragazze hanno evidenziato anche l’importanza dell’ “atmosfera” che la persona – soprattutto se giovane – respira: i pensieri negativi, ansiogeni, e lo spettacolo del male influenzano negativamente l’interiorità che tende a “frammentarsi”: si manifesta l’effetto predominante delle emozioni negative sulla ragionevolezza.

Ne deriva l’importanza per ognuno di formare un ideale del sé positivo, ricco di virtù, di speranza e fiducioso nella capacità di affrontare razionalmente le situazioni complicate.

In conclusione, i Soci giovani e i genitori hanno avuto il coraggio di affrontare tematiche molto complesse ed emotivamente coinvolgenti, mettendosi in gioco in prima persona.

Dal lavoro condotto individualmente è stato possibile raggruppare le risposte in gruppi di senso; le risposte sintetiche sono state approfondite attraverso la discussione, favorendo l’esperienza della condivisione che costituisce un reciproco arricchimento e una “palestra” dei sentimenti, delle idee e delle emozioni. Un genitore – a nome dei molti – ha esplicitato che grazie all’incontro in lui sono sorte molte domande che prima ignorava.

Gli incontri della Associazione mostrano quanto sia importante porsi le domande più che cercare risposte pre-confezionate: porsi le domande di senso, insieme, fa crescere individualmente e cementa l’unità del gruppo, favorendo sia l’aggregazione delle persone che frequentano per la prima volta gli incontri, sia lo spirito di amicizia fra i Soci.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *