La forza del sogno e della speranza: una sfida per il terapeuta, Maurizio Bosio

La forza del sogno e della speranza: una sfida per il terapeuta, Maurizio Bosio

forza sognoViviamo in un periodo storico da “basso impero”, dove la società liquido-moderna, secondo la felice definizione di Bauman, appare dominata dalla paura del declino della crescita economica e delle aspettative della qualità della vita; non è forse casuale che in ambito psichiatrico si osservi la diffusione dell’ansia, delle dipendenze e dei disturbi del comportamento alimentare.

In una temperie culturale prevalentemente relativistica, sogni e speranze si dissolvono rapidamente se sono inconsistenti nei contenuti, se non nascono dall’esperienza della sofferenza e se non hanno radici profonde che attingono alla spiritualità; essi sopravvivono negli individui educati interiormente, e acquistano forza e significato per antifrasi. Per comprenderne la portata nella vita delle persone è utile far riferimento a una situazione-limite tra le esperienze umane, rappresentata dalle malattie mentali, e in particolare dai disturbi del comportamento alimentare e il loro corteo di disturbi di personalità soggiacenti: qui infatti sogno e speranza sembrano irrealizzabili, o subiscono un’alterazione del significato che diventa patologico (la magrezza estrema, l’autocontrollo completo). Il disturbo è così auto-centrato, che non è difficile scorgere nel vortice che aspira verso il nulla (immagine comunemente riferita nell’anoressia) l’avvitamento dell’io su se stesso, sino a restare chiuso nella gabbia o in fondo a un tunnel senza luce, sino a precipitare nel baratro (tutte parole-chiave del disturbo).

Sperare qualcosa, sperare in qualcuno o qualcosa, è conseguente all’aver effettuato una scelta in quella direzione. Presuppone cioè l’apertura al rischio di scegliere, di lasciare qualcosa a favore di qualcosa d’altro ritenuto più desiderabile o vantaggioso; ma scegliere significa anche esporsi all’incertezza della libertà, che a sua volta può provocare angoscia. Si comprende allora che chi è intrappolato nei circuiti neuronali abitudinari che danno sicurezze, per quanto false e pericolose, non è disposto a rischiare di abbandonare il rifugio della malattia per aprirsi al rischio della libertà, in nome di una salute avvertita come pericolosa in quanto porta a modificare l’immagine corporea desiderata e a rinunciare alle paure e alle ossessioni.

L’errore di certe modalità terapeutiche è proporre al paziente soluzioni che seppur talora tecnicamente ineccepibili, non tengono conto dei suoi vissuti, delle sue difficoltà a motivarsi per il cambiamento: motivarsi a scegliere la difficile strada della salute.

Nella relazione dialogica paziente-terapeuta dovrebbe avvenire uno scambio significativo e reciproco di “doni” sulla base della fiducia; da parte del terapeuta il primo e più significativo dovrebbe essere il trasferimento (energetico) di una visione, che è sogno a occhi aperti di una condizione realizzabile: una condizione esistenziale migliore per il paziente, adatta alla sua personalità, centrata sul recupero dell’armonia interiore e della capacità di percepire la bellezza della vita, sul recupero dell’integrità e unità delle dimensioni psico-fisiche e spirituali della sua persona: in una parola il kalòn, secondo la dizione greca. A sostenere il sogno verso la sua concreta attuabilità è la speranza, la componente energetica che il terapeuta trasferisce al paziente.

La speranza costituisce dunque uno strumento terapeutico, e proprio per tale motivo deve essere realistica, equilibrata, “paziente” verso i tempi della sua realizzazione. Nella pazienza sta la saggezza del terapeuta e la forza della speranza. La saggezza consiste anche nell’uso sapiente delle conoscenze scientifiche e delle esperienze acquisite, e nella scelta degli strumenti adatti per ogni singola persona-paziente. Nella nostra visione antropologico-personalistica, l’ascolto empatico del paziente fornisce fenomenologicamente i suggerimenti per evocare le forme di bellezza a lui più congeniali, a partire proprio dalla loro “assenza” nel suo orizzonte esistenziale attuale.

L’evocazione con le modalità adatte, unitamente ad altri atti interiori, risveglia la nostalgia per la bellezza “perduta” che così diviene desiderabile e sperabilmente godibile. A piccoli passi, le esperienze di bellezza attuate con i cinque sensi da parte di una persona unicamente concentrata sulla vista (di immagini mentali orrifiche) e sull’udito (di “voci” ossessivamente angoscianti) aprono la via per recuperare il rapporto con il mondo delle cose, a “oggettivare”, uscendo da un pericoloso soggettivismo solipsistico. E che la realtà, con la profusione della sua bellezza, sia terapeutica per l’uomo, ce lo ricordano i primi versi dell’Endimione di John Keats, morto giovanissimo ma già esperto di grandi sofferenze:

Una cosa bella è una gioia per sempre:
cresce di grazia; mai passerà
nel nulla; ma sempre terrà
una silente pergola per noi, e un sonno
pieno di dolci sogni, e salute, e quieto respiro.
Perciò, ogni mattino, intrecciamo
una catena di fiori per legarci alla terra,
malgrado lo sconforto, il disumano vuoto
d’animi nobili, i giorni tristi,
le perniciose e ottenebrate vie
della nostra ricerca: sì, malgrado tutto,
una forma bella il drappo toglie
allo spirito triste. (…)

Solo chi sogna il bello e il bene, pur nella malattia, può sperare, con tutte le forze residue, che si realizzino; già nell’atto di sperare avverte un certo benessere che non sa spiegarsi, ma che le neuroscienze attribuiscono all’attivazione di specifiche sostanze chimiche in aree ben definite del cervello. Ed è stupefacente constatare con le tecniche a disposizione che i processi mentali attivati dal sogno e dalla speranza, e dalle motivazioni che li sottendono, modificano la plasticità neuronale, agiscono visibilmente sulle connessioni tra i neuroni (fenomeno definito sinaptogenesi), e modificano i comportamenti delle persone, rendendole più consapevoli e libere. La recuperata capacità di percepire le prime manifestazioni della bellezza avviene grazie all’attivazione di un nucleo cerebrale, l’amigdala, fortemente coinvolta nel disturbo alimentare e nell’ansia: quale segno più concreto degli effetti positivi del sogno e della speranza?

Ci sono tuttavia malati che non sperano, o sembrano aver perso la capacità di sognare, o non vogliono sognare: una forma di resistenza al cambiamento. Proprio perché l’approccio alle varie resistenze è empatico, nel senso che vede nelle resistenze un momento di difficoltà del paziente e non un’opposizione, lo scarso controllo emotivo del vissuto empatico potrebbe indurre percezioni negative nel terapeuta, ed esse potrebbero rinforzare i vissuti “disperati” dei pazienti per il fenomeno del rispecchiamento. La disperazione del paziente (l’anoressia-bulimia è definita hopelessness disease dagli anglosassoni), la sua percezione di non poter essere aiutato (helplessness disease), di essere isolato dal mondo, vengono percepite mimeticamente in modo inconscio dalterapeuta che può sviluppare rabbia, senso di impotenza, disperazione nei confronti del paziente e dei risultati della terapia. In tal modo egli lo influenza negativamente, attivando un processo mimetico circolare che aggrava (e può perpetuare) gli effetti della malattia. Questo processo di contro-transfert negativo è ben noto in psichiatria.

Se il paziente non attribuisce senso alla sofferenza, se non spera, o spera in modo conforme al suo desiderio contrario alla salute, il terapeuta deve reagire con realismo e con quella capacità di rovesciare le situazioni che proviene appunto dalla speranza, parola che possiede già, nella sua radice indoeuropea, la premonizione della riuscita, pur partendo da un sentimento negativo: la paura. L’analisi effettuata dal paziente sugli effetti negativi dei suoi comportamenti per la salute costituisce la componente ragionevole della speranza, che peraltro non può essere esclusivamente ragionevole: che cosa si può ricavare di buono da quella negatività che fa paura? Recuperare la consapevolezza di sé e delle proprie paure è paradossalmente più facile per le pazienti con una storia di grandi sconfitte, umiliazioni, comportamenti moralmente errati e grandi sofferenze: quando tutto sembra perduto, la speranza rinasce. È più arduo che si verifichi in presenza di possibilità di godimento di piaceri corporei, di indifferenza, di relativismo morale, di assenza di una vera sofferenza e del sogno di conquistare qualcosa di grande e di bello.

Con questo sogno, e con l’intento di dare segni concreti di speranza ai pazienti e ai loro genitori, e di perfezionare le capacità professionali dei terapeuti nell’applicazione quotidiana del sogno e della speranza, è nata l’Associazione Eumenidi per i Disturbi del Comportamento Alimentare a Milano.

NB: alcuni brani del testo sono stati adattati dal saggio di Maurizio Bosio “La bellezza possibile”, in pubblicazione, 2012.

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