Messaggio del Presidente in occasione del 7° anno dell’Associazione EUMENIDI

Messaggio del Presidente in occasione del 7° anno dell’Associazione EUMENIDI

colomba

Cari Soci,

la nostra Associazione ha superato il settimo anno dalla sua fondazione, e sento l’urgenza, come Presidente, di proporre alla vostra riflessione una breve analisi sugli scopi e lo spirito che la caratterizzano, in relazione alla situazione storica che viviamo e allo “spirito del tempo” che permea l’atmosfera culturale.

L’esigenza nasce dalla convinzione che un’associazione, cioè una comunità di persone le quali hanno intenti e obiettivi simili e condividono un metodo dopo un confronto aperto, può sostenere la sfida della complessità culturale e il logoramento del tempo solo se è  consapevole del significato che la vivifica.

Questa non è un’esigenza astratta, un appello rivolto all’intelligenza dei singoli che costituiscono la comunità: per essere “vitale” l’Associazione, considerata come un organismo vivente, deve avere un cuore collegato all’intelligenza: ciò non è conforme alla cultura moderna che li ha separati relativamente ad aree cruciali come l’etica e l’educazione.

Poiché la nostra Associazione si propone per Statuto anche un compito culturale ed educativo, non può esimersi dal dichiarare la propria posizione riguardo ad argomenti così gravidi di conseguenze, e dal fornire chiarimenti sulle motivazioni che sostengono le scelte.

Quali obiettivi ci poniamo?

–    Noi ci rivolgiamo a persone ammalate e a famigliari afflitti da problemi dolorosi: ci proponiamo esplicitamente di evitare che le nostre azioni e le nostre parole creino persone fragili, dipendenti, opponendoci apertamente alla cultura contemporanea dell’homo infirmus, un individuo cioè strutturalmente malato, debole, vulnerabile, incapace di vivere senza il supporto della terapia.
Questa visione dell’uomo ha diverse conseguenze: in primo luogo la collettività esperimenta una profonda impotenza, una difficoltà a dare senso alle esperienze negative della vita, tale da annullare talora la capacità di reazione agli eventi avversi.
Ne consegue una medicalizzazione impropria e la perdita di una prospettiva esistenziale caratterizzata dalla speranza e da un sano desiderio di bene nonostante fallimenti, difficoltà e malattie.
In secondo luogo cambia l’immaginario ideale che volgarizza le virtù e favorisce la mentalità del frustrato perdente e, considerata la diffusione dell’ansia, il fatalismo nevrotico. Un modello educativo diffuso, che prescinde pregiudizialmente dalla ricerca della virtù ed è invece centrato sul relativismo etico e sull’individualismo, favorisce la crescita di bambini e adolescenti narcisisti, incapaci di affrontare le prove dei tempi.

–   Intendiamo combattere la riduzione delle problematiche psicologiche ed esistenziali, del dolore delle persone, a oggetto di classificazioni psicopatologiche cui vengono applicate tecniche terapeutiche standardizzate. Pur rispettando e applicando gli aspetti gnoseologici e scientifici necessari per la cura, riteniamo che essi non esauriscano le problematiche della persona ammalata, e non debbano chiuderla nel cerchio malattia-cura: riteniamo piuttosto che debbano contribuire alla domanda di senso che sta dietro la malattia.

–    Intendiamo insegnare ai giovani che la malattia, come ogni prova severa della vita, può essere utilizzata per una crescita personale, come un’occasione di riconoscimento e applicazione delle risorse, e non come un problema.
In questo intendimento non c’è la sostituzione dell’azione educatrice dei genitori, perché esso viene concordato con loro e da loro approvato durante i colloqui preliminari sulla metodologia clinica e sulla partecipazione al Progetto Kalòs destinato ai giovani.

–    Intendiamo creare l’atmosfera che favorisca le relazioni amichevoli tra i Soci, il supporto e l’aiuto reciproco, teso alla valorizzazione delle risorse e della positività, non alla formazione di un club di malati con etichetta di qualità, secondo una visione patologica che favorisce il perpetuarsi della malattia e la sua diffusione virale.

 Come realizziamo gli obiettivi?

–    Cerchiamo di favorire l’espressione della domanda di senso e l’uso delle risorse personali da parte dei pazienti con la metodologia adatta in quanto terapeuti, e dei figli-pazienti, in quanto genitori/educatori.

–    Consapevoli che ogni valida forma di educazione parte dall’auto-educazione, quando la malattia è conclamata lavoriamo con i genitori in modo fenomenologico sugli avvenimenti concreti della vita di relazione perché essi modifichino i comportamenti e gli atteggiamenti in modo più funzionale per la qualità delle relazioni e degli obiettivi educativi.

–    Il lavoro con i genitori si basa sul principio che l’educazione è prevenzione; ci sembra che la prevenzione passi attraverso il favorire nei figli la formazione del gusto, l’imparare a gustare le cose buone e belle e a provare disgusto per le cose facili, prive di contenuto e di senso, legate al consumismo e alla omogeneizzazione dei comportamenti. I riti basati sul conformismo soffocante in cui la libertà di esprimersi passa attraverso l’esibizione di cose (tagli di capelli, tatuaggi, piercing, oggetti di vestiario etc.) e di atteggiamenti, per lo più volgari, creano di fatto divisioni e insoddisfazione, aprendo la strada all’uso di sostanze e alle psicopatologie .

–    Il lavoro con i giovani consiste nel far loro effettuare esperienze di bellezza con i cinque sensi e in compagnia, nel far gustare le cose buone e semplici che in sé posseggono profondità e possibilità creative.

Le proposte sono formulate in modo che essi si sentano e di fatto siano i protagonisti delle esperienze.

Questo documento è stato letto, spiegato, commentato e discusso con i Soci convenuti a Verdeto (PC) il 13 Settembre 2014.

Il Presidente, Maurizio Bosio

 

 

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