Messaggio in occasione della prima Assemblea dell’Associazione (anno 2007)
Desidero innanzitutto ricordare che l’Associazione è nata per la volontà di alcune di voi, espressa o non espressa verbalmente, d’essere vicine a chi soffre direttamente o indirettamente a causa dei gravi disturbi dell’alimentazione. Quanto avviene oggi è un atto formale, importante, di riconoscimento di tale moto interiore. Per questo vi ringrazio, come medico e come essere umano, perchè la vostra intenzione è l’espressione della gratitudine per il recupero di una condizione di miglior benessere. Ben-essere ed essere-bene: dalla salute riacquistata al cambiamento interiore, dall’angoscia della malattia alla pienezza del vivere, dal non senso alla ricerca del significato esistenziale.
Uno di voi mi ha chiesto: in che cosa si distingue questa Associazione dalle altre esistenti? Proprio in ciò: il nostro non è solo un intervento assistenziale, una vicinanza con chi soffre, ma la volontà di far percepire alle persone (pazienti e genitori) che affrontare la malattia con coraggio vuol dire mettere in gioco se stessi, interamente, far percepire che attraverso la malattia si aprono nuovi orizzonti psicologici e spirituali, che nella malattia si combatte il male del vivere che affligge ognuno di noi: il non senso esistenziale, molto concretamente.
Il senso del nostro esserci, qui ed ora, è che abbiamo esperimentato l’angoscia della possibilità della perdita della vita e del senso esistenziale, e che abbiamo deciso che esso è un male, anzi, il male, e con coraggio abbiamo deciso di combatterlo e di darne testimonianza.
Le conseguenze di questo atteggiamento sono molteplici.
Sul piano clinico, terapeutico, si concretizzano in una visione antropologica della medicina, rispettosa dell’unità della persona e della ricerca di senso esistenziale che ogni persona, attraverso la malattia, consciamente o inconsciamente effettua.
Sul piano assistenziale i Soci volontari sono invitati a sostenere il sofferente con uno sguardo che va al di là della condizione contingente del disturbo, dei limiti imposti dalla malattia, ma che si estende sul mistero che ogni persona rappresenta, con un incondizionato sostegno alle ragioni della speranza pur nel rispetto della sua libertà.
Questo approccio alla persona non è usuale nella Medicina, dominata dagli aspetti puramente tecnici e dal riduttivismo biologico.
Per sostenere in modo appropriato le persone che a noi si rivolgono è necessario che ognuno, nel ruolo che svolge, sia preparato sia interiormente, sia culturalmente. Tradotto in termini operativi ciò significa che ciascuno deve aver chiaro il suo ruolo, le possibilità che può realizzare praticamente, i limiti della sua azione che non deve superare. Si tratta anche di limiti emotivi, ed è chiaro che, a vostra volta, avete bisogno di preparazione e di possibilità di discutere le qualità dei vostri interventi col medico. Garantisco la mia disponibilità.
La mia prima preoccupazione è per la vostra salute, e vi raccomando di non fare passi che non vi sentite di fare.
Ciò non significa venir meno ai propri compiti, in quanto il primo compito è stare sufficientemente bene per poter aiutare l’altro. È importante acquisire in modo sempre più chiaro la conoscenza della fenomenologia dei disturbi, la conoscenza dei propri limiti cognitivi ed emotivi, la conoscenza della complessità della natura umana e della possibilità di avere cedimenti, stanchezze, disaffezioni per i propri compiti. La coesione del gruppo e il supporto reciproco favoriscono la crescita interiore di ognuno. Nell’effettuazione della terapia è stato per me di grande conforto sapere che potevo contare su di voi. Se siete colti da sfiducia perchè non vedete risultati immediati, ricordatevi che ogni intervento è significativo e opera, prima o poi. L’intenzionalità dei gesti lascia un segno in chi riceve.
Quanto finora esposto introduce un capitolo di grande rilevanza a mio giudizio per la crescita e la sopravvivenza dell’Associazione: la nostra preoccupazione non dev’essere solo quella culturale, quella di ampliare il numero dei Soci o di ottenere fondi economici per realizzare le iniziative pur necessarie; prima di tutto dobbiamo creare le condizioni per un rapporto di stima ed amicizia reciproca, perché solo dalla coesione del gruppo, dal mutuo supporto può nascere qualcosa di buono. Ogni forma di aggregazione della società umana comporta rischi, e come Soci fondatori dobbiamo esserne coscienti. La gelosia, le piccole o grandi dispute per ragioni intellettuali o per la realizzazione di progetti, la percezione di un ingiusto riconoscimento dei propri meriti, e così via, sono motivi di divisione che minano alla base ogni costruzione, ogni progetto umano.
Dobbiamo essere coscienti di questo limite, personale e di gruppo, e porvi, per quanto umanamente possibile, rimedio. Ritengo che la chiarezza dei principi ispiratori, liberamente condivisa, e la natura assolutamente volontaristica del rapporto che ci lega all’Associazione, siano strumenti efficaci per ridurre i rischi entro limiti accettabili.
Penso che tutti dovremmo considerare l’Associazione come uno strumento di crescita personale, e una sfida alla forza disgregatrice che opera nella società umana.
In qualità di primo presidente dell’associazione sono ben conscio dei miei limiti, e so che non sempre sarò all’altezza dello slancio ideale che mi appare peraltro essenziale per far decollare questa iniziativa. Vi chiedo perciò di sostenermi nello sforzo e di evidenziare senza timore gli eventuali errori di percorso.
Dicembre 2012
I primi cinque anni di vita dell’Associazione hanno confermato la realizzazione degli obiettivi dei Soci fondatori:
1. La vita dell’Associazione è stata organizzata attorno a tre progetti chiamati IPPOCRATE, destinato ai terapeuti, LOGOS, destinato ai genitori, e KALOS, destinato ai pazienti. Gli aspetti programmatici e pratici dei tre progetti sperimentali sono stati realizzati. Essi proseguono con cadenza annuale, arricchendosi di validi contenuti umani e culturali.
2. Le esperienze condotte con i tre gruppi hanno aumentato la conoscenza, la stima e la reciproca amicizia nei partecipanti, connotando l’Associazione per i suoi contenuti relazionali e non solo culturali.
3. Non si è verificato alcun problema rilevante all’interno dei tre gruppi, nè tra i gruppi, nonostante le differenze d’età e di ruolo (genitori/figli) dei Soci.
4. Il messaggio metodologico antropologico-personalistico e i contenuti culturali dell’Associazione sono stati sinora comunicati in modo scientificamente e umanamente apprezzato.
5. Il progetto culturale grazie alla sua riproducibilità dà garanzia di tenuta nel tempo.
Messaggio del Presidente in occasione del 7° anno dell’Associazione,
13 Settembre 2014
Cari Soci,
la nostra Associazione ha superato il settimo anno dalla sua fondazione, e sento l’urgenza, come Presidente, di proporre alla vostra riflessione una breve analisi sugli scopi e lo spirito che la caratterizzano, in relazione alla situazione storica che viviamo e allo “spirito del tempo” che permea l’atmosfera culturale.
L’esigenza nasce dalla convinzione che un’associazione, cioè una comunità di persone le quali hanno intenti e obiettivi simili e condividono un metodo dopo un confronto aperto, può sostenere la sfida della complessità culturale e il logoramento del tempo solo se è consapevole del significato che la vivifica.
Questa non è un’esigenza astratta, un appello rivolto all’intelligenza dei singoli che costituiscono la comunità: per essere “vitale” l’Associazione, considerata come un organismo vivente, deve avere un cuore collegato all’intelligenza: ciò non è conforme alla cultura moderna che li ha separati relativamente ad aree cruciali come l’etica e l’educazione.
Poiché la nostra Associazione si propone per Statuto anche un compito culturale ed educativo, non può esimersi dal dichiarare la propria posizione riguardo ad argomenti così gravidi di conseguenze, e dal fornire chiarimenti sulle motivazioni che sostengono le scelte.
Quali obiettivi ci poniamo?
• Noi ci rivolgiamo a persone ammalate e a famigliari afflitti da problemi dolorosi: ci proponiamo esplicitamente di evitare che le nostre azioni e le nostre parole creino persone fragili, dipendenti, opponendoci apertamente alla cultura contemporanea dell’homo infirmus, un individuo cioè strutturalmente malato, debole, vulnerabile, incapace di vivere senza il supporto della terapia.
Questa visione dell’uomo ha diverse conseguenze: in primo luogo la collettività esperimenta una profonda impotenza, una difficoltà a dare senso alle esperienze negative della vita, tale da annullare talora la capacità di reazione agli eventi avversi.
Ne consegue una medicalizzazione impropria e la perdita di una prospettiva esistenziale caratterizzata dalla speranza e da un sano desiderio di bene nonostante fallimenti, difficoltà e malattie.
In secondo luogo cambia l’immaginario ideale che volgarizza le virtù e favorisce la mentalità del frustrato perdente e, considerata la diffusione dell’ansia, il fatalismo nevrotico. Un modello educativo diffuso, che prescinde pregiudizialmente dalla ricerca della virtù ed è invece centrato sul relativismo etico e sull’individualismo, favorisce la crescita di bambini e adolescenti narcisisti, incapaci di affrontare le prove dei tempi.
• Intendiamo combattere la riduzione delle problematiche psicologiche ed esistenziali, del dolore delle persone, a oggetto di classificazioni psicopatologiche cui vengono applicate tecniche terapeutiche standardizzate. Pur rispettando e applicando gli aspetti gnoseologici e scientifici necessari per la cura, riteniamo che essi non esauriscano le problematiche della persona ammalata, e non debbano chiuderla nel cerchio malattia-cura: riteniamo piuttosto che debbano contribuire alla domanda di senso che sta dietro la malattia.
• Intendiamo insegnare ai giovani che la malattia, come ogni prova severa della vita, può essere utilizzata per una crescita personale, come un’occasione di riconoscimento e applicazione delle risorse, e non come un problema.
In questo intendimento non c’è la sostituzione dell’azione educatrice dei genitori, perché esso viene concordato con loro e da loro approvato durante i colloqui preliminari sulla metodologia clinica e sulla partecipazione al Progetto Kalòs destinato ai giovani.
• Intendiamo creare l’atmosfera che favorisca le relazioni amichevoli tra i Soci, il supporto e l’aiuto reciproco, teso alla valorizzazione delle risorse e della positività, non alla formazione di un club di malati con etichetta di qualità, secondo una visione patologica che favorisce il perpetuarsi della malattia e la sua diffusione virale.
Come realizziamo gli obiettivi?
• Cerchiamo di favorire l’espressione della domanda di senso e l’uso delle risorse personali da parte dei pazienti con la metodologia adatta in quanto terapeuti, e dei figli-pazienti, in quanto genitori/educatori.
• Consapevoli che ogni valida forma di educazione parte dall’auto-educazione, quando la malattia è conclamata lavoriamo con i genitori in modo fenomenologico sugli avvenimenti concreti della vita di relazione perché essi modifichino i comportamenti e gli atteggiamenti in modo più funzionale per la qualità delle relazioni e degli obiettivi educativi.
• Il lavoro con i genitori si basa sul principio che l’educazione è prevenzione; ci sembra che la prevenzione passi attraverso il favorire nei figli la formazione del gusto, l’imparare a gustare le cose buone e belle e a provare disgusto per le cose facili, prive di contenuto e di senso, legate al consumismo e alla omogeneizzazione dei comportamenti. I riti basati sul conformismo soffocante in cui la libertà di esprimersi passa attraverso l’esibizione di cose (tagli di capelli, tatuaggi, piercing, oggetti di vestiario etc.) e di atteggiamenti, per lo più volgari, creano di fatto divisioni e insoddisfazione, aprendo la strada all’uso di sostanze e alle psicopatologie
• Il lavoro con i giovani consiste nel far loro effettuare esperienze di bellezza con i cinque sensi e in compagnia, nel far gustare le cose buone e semplici che in sé posseggono profondità e possibilità creative.
Le proposte sono formulate in modo che essi si sentano e di fatto siano i protagonisti delle esperienze.
Questo documento è stato letto, spiegato, commentato e discusso con i Soci convenuti a Verdeto (PC) il 13 Settembre 2014.
Il Presidente, Maurizio Bosio