VERDETO, 22 giugno 2025
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- Luglio
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Cari Soci, la nostra Associazione ha compiuto diciotto anni, una data simbolica che mi ha indotto a rivedere il percorso effettuato soprattutto a Verdeto, dove abbiamo trattato una grande mole di argomenti che ritrovate nel sito della Associazione. Li ho elencati qui sotto, secondo un ordine tematico, non cronologico:
L’Io e l’identità personale. Chi sono io? Come si struttura l’Io.
Emozioni
Aree critiche per l’identificazione personale
Desiderio e identità personale
Persona e personalità
Narrazione, identità personale e identità di una comunità
Desiderio e felicità: i passi per la felicità
I pericoli esterni ed interni percepiti. Le violenze percepite
L’imprevisto
Libertà personale
Il tempo e l’amore
L’amicizia
Perdono, perdonarsi (Giovinetta immortal)
Il Logos: la parola e il discernimento. Dieci parole scelte da voi
La potenza delle immagini e i DCA (relazione congressuale a Legnano)
Lasciarsi sorprendere dalla bellezza (Presentazione della Associazione e del metodo della cura in Svizzera, ad Ascona)
Invidia mimetica
Il risentimento
I DCA attraverso la testimonianza personale (testimonianza di Giulia etc).
La rilettura dei testi alla luce dell’avvicendamento di tante persone nella nostra Associazione che ha mantenuto una continuità affettiva e operativa grazie allo spirito che la anima e che emerge anche dai documenti prodotti, consiglia la loro pubblicazione per fornire a tutti spunti di riflessione.
Vorrei aggiungere un nuovo capitolo partendo da un’osservazione: è esperienza comune che tra il riconoscimento dei fenomeni che ci accadono e la comprensione delle loro cause da una parte, e il cambiamento effettivo dei comportamenti dall’altra, esiste un divario che talora ci sembra incolmabile. Ciò è particolarmente vero quando una persona manifesta un DCA o un’altra dipendenza che è una situazione tipica di difficoltà al cambiamento. Tuttavia è un’esperienza comune a tutti che cambiare è difficile, tanto che ci chiediamo: perché è così difficile cambiare qualcosa di sé a favore di qualcosa ritenuto giusto e desiderabile? Perché tendiamo a ripetere gli stessi comportamenti anche se nocivi? Il cambiamento è un evento naturale o richiede un intervento esterno di facilitazione? In tal caso come dev’essere l’intervento, e per quanto dev’essere condotto?
Ciò che sappiamo è che non può esserci cambiamento se prima non c’è consapevolezza della sua necessità. La consapevolezza è un processo mentale e spirituale complesso che passa attraverso la maturazione interiore, maturazione che per attuarsi ha bisogno di stimoli e di contenuti esperienziali e culturali: proprio questi rientrano negli scopi statutari dell’Associazione che li realizza a livello clinico, culturale e di condivisione di esperienze personali relative alla gestione della sofferenza indotta dai DCA delle figlie e dai disagi psicologico-esistenziali dei figli.
La consapevolezza sulla necessità del cambiamento deve fare i conti con le resistenze inconsce e consapevoli che mettiamo in atto, resistenze che a loro volta devono passare al vaglio della ragionevolezza. Alcune sono espressione di processi mentali descritti da Anna Freud come la negazione (“Non è poi così male”), la razionalizzazione (“In fondo non lo volevo”) e la proiezione (“Non è un mio problema, è loro”); mentre altre svolgono anche un ruolo positivo di stimolo critico e di spinta alla libera adesione della volontà personale riguardo al cambiamento.
Questa notazione è importante, perché di fronte a ogni ostacolo (e le resistenze lo sono) dobbiamo chiederci: perché esso si è manifestato, e perché in questo modo? L’ostacolo svolge forse una funzione che devo scoprire? Ricordo, riguardo all’ostacolo, una espressione di non poche ragazze sul DCA: “Mi trovo davanti a un muro alto, mi sembra insormontabile”. Il muro effettivamente è un vero ostacolo, ma una volta saliti in cima, diventa il luogo da cui osservare meglio ciò che c’è al di là. Per salire sul muro, per affrontare il cambiamento che esso simboleggia, è indispensabile possedere dell’energia: l’etimologia della parola greca spiega bene il concetto, perché è composta da en, dentro, e da ergon, lavoro, azione: che cosa c’è dentro di noi che consente l’azione?
Dentro c’è, o deve esserci, la motivazione. L’etimologia latina della parola (motivus e agere) sta a indicare che c’è qualcosa (un obiettivo) capace di muovere all’azione, a partire da una condizione precedente da cui muovere e in ossequio a una certa modalità di agire.
L’argomento è stato studiato e approfondito da molti autori, vista la sua importanza e utilità in ambito organizzativo lavorativo ed economico (è spesso l’utile a sviluppare la riflessione in psicologia): ne accenno in modo molto sintetico.
Maslow ha concepito una gerarchia di bisogni, a partire da quelli legati alla sopravvivenza ai più evoluti che si riferiscono alle relazioni e all’autorealizzazione: se positive, l’uomo lavorerà meglio.
Herzberg identifica tra i fattori motivazionali le buone condizioni esterne del lavoro e i contenuti del lavoro che favoriscono la crescita professionale.
McClelland ha identificato tre tipologie di bisogni motivanti: il bisogno di successo, di relazioni affettive positive con altre persone, e di potere, inteso come esigenza di lasciare una traccia positiva di sé nella realtà. Vromm sottolinea l’importanza della scelta cognitiva che porta all’aspettativa di ottenere una buona ricompensa dai propri sforzi, ricompensa che aumenta la valutazione personale e la spinta a lavorare bene: la motivazione risulta da Aspettativa x Valenza x Strumentalità.
Miller e Rollnick (Il colloquio motivazionale, 2004) citano le tre componenti della motivazione a partire dal detto inglese “pronto, desideroso e capace”: disponibilità, volontà e abilità.
A questo punto, prima di entrare pienamente nell’argomento, allo scopo di evitare di influenzarvi con le mie considerazioni, vi propongo di rispondere in modo anonimo alle domande qui riportate.
Successivamente discuteremo le vostre risposte e completeremo la trattazione con alcuni approfondimenti.
- Ho la consapevolezza di dover attuare un cambiamento?
- Se sì, riguardo a che cosa (definire il problema in modo molto sintetico)?
- In che cosa consiste per me il cambiamento?
- Posseggo le motivazioni per operare il cambiamento?
- Dove trovo le energie per sostenere le motivazioni?
- Quindici adulti hanno esposto quanto segue:
1- tutti esprimono di aver consapevolezza di dover attuare un cambiamento, alcuni aggiungono però:
- che questa consapevolezza è presente solo a tratti o che essa è una acquisizione recente;
- che, nonostante ciò, sia difficile cambiare;
- che sussistono, nonostante tutto, reistenze al cambiamento;
- che ci si sente comunque frenati e bloccati dalla paura.
2- I cambiamenti vorrebbero riguardare:
- caratteristiche del proprio carattere / modo di fare; si lamentano:
reazioni personali caratterizzate da scarsa pazienza, troppa rabbia, troppa ansia;
modalità troppo frettolose;
vissuti di scarsa libertà, atteggiamenti di passività;
- scarsa cura verso se stessi: necessità di accudirsi di più, di prendersi i propri spazi;
- atteggiamenti inadeguati verso i familiari ed i figli;
- l’ ambiente lavorativo, vissuto come ingiusto e caratterizzato da relazioni disfunzionali.
3- Il cambiamento consiste in:
- modificare se stessi per sentirsi meglio con la propria interiorità:
accogliere i propri bisogni; accettare le proprie fragilità; affrontare e modificare quanto non fa stare bene con coraggio;
ricercare un maggior equilibrio personale, una maggiore serenità;
cambiare il proprio modo di vedere le situazioni;
- modificare il proprio approccio con gli altri:
cercare di comprendere di più gli altri.
4- Le motivazioni per operare il cambiamento sono avvertite da tutti come
presenti e importanti, sebbene talvolta sia faticoso considerarle e talvolta
siano mescolate a rischi e paure che le bloccano.
Possono essere così suddivise:
- insite nella negatività dello status quo: il cambiamento è dettato dal desiderio di miglioramento delle condizioni di vita e dall’ aspirazione alla autorealizzazione;
- avvalorate dalla positività dei cambiamenti già attuati;
- corrispondenti alle virtù: volontà e necessità di giustizia, di bene, di senso della propria esistenza;
- dovute all’ amore verso le persone (familiari, soprattutto figli) e all’ amore verso Dio (che produce una fede che dona energia).
5- Le energie per sostenere le motivazioni sono ricercate e trovate:
- in se stessi e nelle attività che permettono il contatto con il proprio sè più autentico (camminare nella natura, meditazione..);
- nella speranza del miglioramento;
- nell’ amore per la famiglia, per i figli;
- nella vicinanza – esempio – confronto degli / con amici;
- nella preghiera e nella fede.
I giovani hanno enunciato quanto segue:
1- la consapevolezza del cambiamento non è così definita e certa come per gli adulti:
- si evidenzia una certa paura, che a tratti la sovrasta e a tratti viene sconfitta, in una lotta costante;
- spesso non sussiste piena consapevolezza di cambiare, ma si apprende della necessità di esso dal confronto con gli altri;
- talvolta si avverte che lo status quo necessita modifiche, ma non si comprende cosa / come cambiare.
2- Si riscontrano, riguardo al cambiamento, tre tematiche ricorrenti:
- relazione con il sè:
accettazione della propria storia;
cambiamento della sensazione di costante inadeguatezza, di non sentirsi mai all’ altezza, di non essere mai abbastanza;
variazione inerente la svalutazione delle proprie capacità e delle proprie doti e la tendenza all’ autosabotaggio;
- cambiamento per affrontare le paure: paura di vivere e della realtà, compensata da idealizzazione delle situazioni e ansia conseguente;
- relazione con gli altri: necessità di bilanciare la comprensione dell’ altro con il desiderio di subire minor condizionamento, di aver meno timore della non omologazione e del giudizio.
3- Il cambiamento per i giovani consiste in:
- miglioramento della propria vita: apporta modifiche positive al modus vivendi, la condizione finale è più disiderabile di quella precedente;
- cammino di “guarigione profonda”, del quale si è chiamati ad essere parte attiva e responsabile;
- libertà da vizi, rituali, condizionamenti, ansia, autogiudizio, paura.
4- Le motivazioni per operare il cambiamneto sono dettate:
- dal desiderio di alleviare la sofferenza “che mi assorbe molte . lo stare male mi ricorda che c’è qualcosa da cambiare, come una spia rossa sul cruscotto dell’ auto”;
- dal desiderio di benessere e libertà: l’ ansia e la paura privano di libertà.
“Non mi sento libera, ma ingabbiata dai miei pensieri; sono in costante lotta e sono stanca (..) Basta, voglio essere io a decidere e non le mie emozioni”,
“Mi accorgo che le strategie che sto utilizzando non sono buone nè per me nè per gli altri..”
- dalla vicinanza con i familiari (famiglia di origine) e dal desiderio di essere modelli positivi per eventuali partner e figli;
“voglio dimostrare a me stesso e a chi mi sta accanto che i nostri demoni non possono essere totalmente debellati, ma possono essere riplasmati..”.
5- Le energie per sostenere le motivazioni sono ritrovate:
- in se stessi:
“iniziando, partendo”, riuscendo ad ascoltare il proprio “desiderio più autentico” -quello che “accende il cuore”– e grazie alla propria forza di volontà;
- nell’amore e nell’ affetto di coloro che stanno accanto e sostengono:
“ se fossi solo non penso sarebbe nel mio interesse cambiare”;
“..il problema è perseverare quando ci sei solo tu con il problema, e nessun altro”;
“..è difficile chiedere una mano, ma è umano. Ho il diritto di non farcela da sola..”
- nella fede.
Aggiungo alcune considerazioni a quelle dei Soci, sottolineando come la consapevolezza della necessità di un cambiamento apra al conflitto fra due situazioni interiori, fra scelte, fra opportunità e desideri spesso contrastanti.
C’è chi al proposito parla di ambivalenza che riguarda o il sentire della persona (per esempio, chi soffre di isolamento sociale, è depresso o timoroso, vorrebbe instaurare relazioni sociali amichevoli, ma è frenato dalla percezione di essere non attrattivo o spiacevole), o riguarda situazioni concrete (per esempio l’attrazione verso due persone): il risultato è una forte tensione emotiva che non aiuta a risolvere il conflitto. In particolare, tutte le forme della dipendenza creano un’ambivalenza fra il desiderio di uscirne e il desiderio di continuare a godere dei pur effimeri vantaggi che il cibo, l’alcool, la droga, offrono.
È intuitivo quanto sia importante affrontare il proprio conflitto e non trovare soluzioni momentanee senza prospettiva di stabilità nel tempo. Vi sono vari tipi di conflitto: il primo (conflitto approccio-approccio) consiste nel dover scegliere fra due alternative entrambe allettanti, come due offerte di lavoro; il secondo tipo di conflitto è fra due mali, entrambi da evitare (conflitto evitamento-evitamento) ma tra i quali bisogna comunque scegliere. Il terzo tipo di conflitto è il più difficile da affrontare perché è fra approccio ed evitamento: si è attratti potentemente da qualcosa/qualcuno che però si sa essere sbagliata/o: il risultato spesso è un ondeggiare fra i due opposti con resistenze e cedimenti sottesi da sentimenti, emozioni e pensieri ambivalenti.
Quando poi la situazione è caratterizzata da due alternative, entrambe molto attrattive ma contemporaneamente pericolose, negative, è ancora più complicato uscire dal conflitto dell’approccio-evitamento doppio. La persona può vivere l’ambivalenza, in questo caso, senza prendere in considerazione le opzioni di scelta; l’ambivalenza infatti può sconcertare le persone, confonderle, bloccarle, impedire loro di vedere con chiarezza i termini del conflitto che sono tenute ad affrontare. La non comprensione delle dinamiche dell’ambivalenza, le quali vanno esaminate nell’ambito del contesto in cui si verificano, porta le persone a comportamenti talora illogici e non prevedibili. Un esempio in ambito familiare può essere quello delle punizioni: insistere con la punizione nei confronti di un figlio trasgressivo nella supposizione che la paura della punizione lo induca a cambiare comportamento può sortire l’effetto contrario.
L’argomento della correzione – si pensi alla correzione di un disturbo del comportamento alimentare – va considerato con grande attenzione dal terapeuta e dai genitori che sono naturalmente portati a farlo: si tratta del riflesso alla correzione. Quanto più il terapeuta insiste con il paziente ambivalente che il suo comportamento è sbagliato, tanto più questi si arrocca nella sua convinzione, e quanto più insiste, tanto più si autoconvince d’essere nel giusto comportamento che, non dimentichiamolo, è egosintonico. Ricordo al proposito il caso di un responsabile di una Neuropsichiatria universitaria che percosse sul volto una ragazza che si rifiutava di obbedire a un suo ordine. In un contesto diverso la ragazza riprese a nutrirsi. Simili reazioni possono essere evocate dalla esplosione di forti reazioni di rabbia delle figlie o dei figli (I.E.D., intermittent explosive disorder), cui i genitori rispondono con altrettanta rabbia e magari con violenza fisica. Soprattutto riguardo ai DCA, terapeuta e genitori devono avere la consapevolezza che il comportamento pericoloso per la salute è sostenuto dalla paura del cambiamento: paura di ingrassare, paura di non poter affrontare il vuoto affettivo senza la presenza del cibo, paura di non poter risolvere una situazione ansiogena senza vomitare, paura di perdere il controllo, paura di perdere l’attenzione e i vantaggi secondari del disturbo, paura di provare paura …
Esiste un corrispettivo neuro-anatomo-funzionale cerebrale che sostiene con circoli sinaptici ben definiti il DCA e le sue manifestazioni, tutti da modificare in funzione della salute.
Ma una situazione mentale governata dalla irrazionalità e dalle forti emozioni negative sembra incompatibile con il cambiamento. Se la persona viene lasciata sola con il suo disturbo percepisce solo raramente la necessità di cambiare comportamenti.
Qui sono evidenti due fatti. Il primo è che la consapevolezza del cambiamento avviene e cresce nella relazione: ciascuno di noi, abbia o non abbia un DCA, per diventare consapevole della necessità di cambiare ha bisogno di un confronto onesto e costruttivo con l’altro. Il secondo è che nel DCA cambiare il comportamento verso il cibo seppur necessario non è sufficiente: la tipologia del disturbo richiede un cambiamento esistenziale personale che abbandona la chiusura asfittica dell’Io centrata sull’immagine corporea e sul peso per aprirsi alla complessità e alla bellezza della vita.
Ciò presuppone un diverso orientamento del desiderio a partire dalle ambivalenze della persona e dalla messa in opera delle sue risorse. Siamo giunti al momento cruciale dell’argomento cambiamento: una volta acquisita la consapevolezza della necessità del cambiamento, affrontate le ambivalenze e le resistenze, definite le caratteristiche del cambiamento, trovate le motivazioni per cambiare anche con il supporto altrui, dove trovare l’energia per farlo? Può essere un’energia negativa come la paura delle conseguenze dei propri comportamenti sbagliati? Può bastare la consapevolezza razionale di essere finalmente sulla strada giusta?
L’esperienza dimostra che occorre sviluppare un sano amore per se stessi, contro la percezione di insufficienza, indegnità, incapacità, contro i sensi di colpa che opprimono e bloccano la persona.
L’energia proviene dunque dall’amore. Una figlia impara ad amarsi se si sente amata dai genitori, se avverte che l’interesse del terapeuta nei suoi confronti non è né superficiale né ambiguo.
Ella conosce bene il suo vissuto di bassa autostima o addirittura di odio per se stessa, e proprio a fronte di ciò vive un sentimento affettivo trasmesso dagli altri che la avvolge e scioglie la “corazza” di cui si è rivestita, un sentimento che può iniziare a rivolgere verso se stessa, vedendosi con gli occhi benevoli altrui. Questo processo non avviene se non in tempi che dipendono da molti fattori soggettivi, e, in casi drammatici, oggettivi. Mi riferisco all’assenza fisica o affettiva dei genitori, e in casi estremi alla sindrome della deprivazione affettiva indotta da uno o entrambi i genitori, o all’abuso emotivo, fisico e perfino sessuale di cui potrebbe essere stata vittima.
In queste situazioni-limite il lavoro personale con il terapeuta e la presenza di figure sostitutive affettivamente significative può lenire e persino trasformare la disperazione della vittima in speranza e in capacità di amare se stessi e gli altri in modo donativo.
Maestro certamente non passivo di queste situazioni interiori è il Signore che comunica, a chi lo chiede, lo Spirito d’amore e di vita: non il deus ex-machina degli antichi, non l’intervento superstizioso di forze cosmiche, non una forma di autoipnosi, non l’isteria, non “l’incomprensibile” guarigione della Letteratura scientifica, ma il misterioso ed efficace intervento dello Spirito che interviene a sostegno del lavoro umano per coprire il divario apparentemente incolmabile fra desiderio di cambiamento e trasformazione personale.
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