VERDETO, 23 giugno 2024 Narrazione, identità personale e identità di una comunità

VERDETO, 23 giugno 2024 Narrazione, identità personale e identità di una comunità

Chiudiamo oggi il diciassettesimo anno di vita della nostra Associazione, caratterizzata culturalmente anche da una particolare cura verso le modalità di comunicazione sia interpersonale, sia all’interno dei gruppi dei giovani (Progetto Kalòs) e dei genitori (Progetto Logos). Vorrei far emergere il significato del metodo da noi utilizzato evidenziandone l’antitesi rispetto alle modalità utilizzate dalla società in cui siamo immersi.

Lo strumento che domina la comunicazione è l’informazione: una quantità incalcolabile di informazioni viene continuamente riversata su di noi, con modalità studiate da esperti, ora seduttive, ora ingannevoli, ora angoscianti, ora emotivamente neutre, ma tutte finalizzate al controllo e alla manipolazione delle persone, in particolare delle più influenzabili: i giovani. La caratteristica dell’informazione è la frammentazione del tempo, ridotto al momento attuale, all’istante dell’informazione che induce un bisogno nel fruitore che si può configurare in una vera e propria dipendenza. L’informazione, spesso trasmessa con lo storytelling (l’affabulazione in italiano, una narrativa comunicata attraverso opere audiovisive o letterarie), è tesa al problem solving, alla ricerca della soluzione più rapida, efficace ed efficiente di quanto in essa contenuto. Di solito il contenuto ha esplicitamente o implicitamente uno scopo commerciale. Il susseguirsi delle informazioni è così rapido e pervasivo che la persona non si rende conto che la sua libertà, quando accede alle informazioni, è puramente apparente: di fatto si espone al pericolo della manipolazione perché il contenuto emotivo dell’informazione, talora addirittura falsa, incide sulle sue scelte. Infatti a causa della frammentazione del tempo, cui manca estensione e profondità, viene meno la possibilità di opporre il filtro dell’analisi critica che decide quale informazione lasciar passare e quale non. Si comprende come si sia instaurato un vero e proprio regime basato sul condizionamento indotto dall’informazione, con l’acquiescenza delle persone e non con la violenza dell’imposizione tipica dei regimi dittatoriali. L’uso astuto della tecnologia da parte di gruppi di potere, interpreti del liberismo dominante in Occidente, porta a un controllo capillare delle persone e all’orientamento dei loro gusti, dei comportamenti, delle preferenze politiche, della visione del mondo. Per il singolo individuo è difficile identificare i pericoli e distinguere fra il buono e cattivo uso degli strumenti tecnologici coinvolti nella comunicazione, ed è difficile resistere al facile accesso a mezzi ludici come la pornografia, i videogiochi, il gioco d’azzardo, la vita privata degli influencers, i siti che esaltano i DCA, solo per citarne alcuni.

Il soggetto concentrato sullo schermo digitale si protegge dall’irrompere della realtà nella sua esistenza (schermo deriva dal germanico skirmjan, proteggere), ma in tal modo si aliena: il tempo della vita implica imprevisto, prova, sfida, risposta creativa, emozioni coerenti, per cui la mancanza del suo godimento impoverisce mentalmente e spiritualmente la persona, schiacciata su di un presente sterile (ricordo che l’etimologia latina della parola felicità fa riferimento alla fertilità: solo chi vive la realtà può essere produttivo, felice). Il presente è sterile perché la frammentazione del tempo porta alla sua insignificanza, all’atrofia che destabilizza la vita.

Quando il fluire della vita è uniforme, animato da stimoli artificiosi e angosciato dal susseguirsi di informazioni e suggestioni non controllabili, tutto è piatto, omologabile, privo di intrinseco valore. Le informazioni trasmesse attraverso media visivi e uditivi influenzano direttamente i centri nervosi, modificandoli in modo talora irreversibile, soprattutto nel soggetto in fase neuroevolutiva.

Sappiamo che durante l’adolescenza il sistema nervoso subisce trasformazioni che condizionano la vita adulta: sulla base degli stimoli si organizza la rete dei neuroni e delle sinapsi (le connessioni fra i neuroni), rispettando il principio dello sviluppo in base alla focalizzazione dell’attenzione sulle attività svolte. I circuiti più utilizzati si rafforzano, quelli non usati vengono eliminati (il così detto pruning, o potatura). Si verificano anche l’incremento della mielina, il rivestimento degli assoni (la sostanza bianca) attraverso cui si propagano i segnali nervosi, e l’incremento progressivo dell’area neuronale pre-frontale che svolge attività cognitive, quali ragionare in modo critico e con giudizio, controllare gli impulsi e inibire atteggiamenti inappropriati, pianificare gli eventi, prendere decisioni ponderate, definire priorità e organizzare i pensieri, comprendere le intenzioni e il punto di vista altrui. Questi fenomeni, qui appena accennati, vengono profondamente influenzati dall’uso dell’alcool, delle droghe, del vomito, della restrizione alimentare, con importanti conseguenze per la salute mentale dei giovani. Oltre al cibo e alle sostanze, anche la qualità delle immagini e delle suggestioni sensoriali che penetrano nel sistema nervoso centrale in fase evolutiva causano modificazioni strutturali. Già nei bambini, suggestionati dall’informazione ossessiva, è documentata la manifestazione dell’ecoansia, mentre alcuni adolescenti, mentalmente instabili, suggestionati dai video giochi dal contenuto violento, perpetrano stragi nelle scuole. Lo storytelling a scopo commerciale è rivolto all’individuo del quale solletica la vanità, potenzia il desiderio di possesso oggettuale, scatena l’invidia verso chi pubblicizza i propri successi. Questo fenomeno è coerente con l’auto-referenzialità, con la narrazione incentrata sulla vita privata tipica della società neo-liberale: le conseguenze sono la frammentazione della comunità, l’isolamento degli individui, il dominio del relativismo e la perdita del senso esistenziale.

Lo storytelling trasforma la storia in merce, ne rende insignificante l’insegnamento, ne banalizza l’importanza: eppure è la storia che costituisce una comunità e le conferisce l’identità. L’invadenza della politica sotto forma di slogan ideologici di facile presa, trasmessi con i media digitali, influenza le masse al punto che si sta realizzando la profezia di Chesterton secondo la quale bisognerà usare “la spada” per poter affermare che l’erba è verde. In sintesi, l’influenza delle informazioni non controllate e non controllabili ha profondi effetti sociali, tra i quali il più evidente è il diffondersi dell’ansia. Ne esistono altri, più nascosti ma pericolosi: la mancanza di attenzione, l’impoverimento del vocabolario, l’indifferenza e la banalizzazione verso gli avvenimenti storici, l’isolamento sociale, la chiusura dell’individuo rispetto alla realtà contingente in forme di compensazione narcisistica vissute privatamente (dal cibo all’alcool alla pornografia): essi favoriscono lo sviluppo di psicopatologie.

E noi, noi dell’Associazione Eumenidi, come comunichiamo?

Pur tenendo conto dei diversi contesti della comunicazione (il dialogo terapeutico; la comunicazione all’interno del gruppo adulti – Logos – e giovani – Kalòs -; le comunicazioni intersoggettive fra giovani e fra adulti), essa prende le mosse sempre dall’ascolto reciproco, ed è caratterizzata dalla sincerità, dal rispetto, dall’intenzione di comprendere e sostenere l’altro, non di usarlo. Lo testimoniano i rapporti di vera amicizia che sono nati fra vari Soci, giovani e adulti. Da questa ricchezza di relazioni non è rimasto escluso il Presidente, senza che ciò abbia interferito con la cura delle persone a causa della possibilità del transfert e del contro transfert.

V’è un aspetto metodologico molto importante: diamo da sempre rilevanza alla narrazione.

Tutti i Pazienti sono invitati a scrivere la loro storia durante e dopo il percorso nei vari disturbi che li portano in terapia; lo stesso vale per i genitori, un gruppo dei quali ha partecipato attivamente al Corso di Scrittura terapeutica tenuto nella nostra sede dalla fondatrice, Sonia Scarpante.

Il principio che sottende l’invito alla narrazione è che noi siamo la nostra intera esistenza, dalla nascita al momento attuale: ce lo ricordano le immagini, i racconti delle persone a noi care, la memoria degli avvenimenti e degli incontri significativi, l’accendersi delle emozioni gioiose e dolorose cui cerchiamo di dare un nome: la parola è il filo che lega l’esistenza.

La sequenza degli avvenimenti della vita si riduce a cronaca se manca la parola che dona agli avvenimenti significato e dignità di una storia. E poiché ci riferiamo alla “storia” quando ci innamoriamo, quando ci accadono fatti significativi, appare contraddittorio rispetto al nostro intimo desiderio il lasciarsi schiacciare sull’asfittico presente da una dipendenza, dall’ansia che proietta sul futuro preoccupazioni e minacce. La narrazione ha la caratteristica di attivare il passato attraverso la memoria che svolge un’azione sul presente perché illumina la storia personale, la quale ha radici, motivazioni, effetti e conseguenze sulle cause delle azioni: il tempo acquista la sua vera tridimensionalità di passato, presente e futuro.

La conseguenza più importante della narrazione è la consapevolezza dell’identità personale e, in quanto siamo relazione con gli altri, dell’identità di una comunità – proprio ciò che viene distrutto dalla dipendenza dall’informazione.

Infatti solo nella continuità storica, solo nel senso esistenziale si configura un Sé stabile e armonico: un Sé in continua evoluzione fino al termine dell’esistenza, soggetto a un lavoro quotidiano teso a formare, arricchire e difendere le acquisizioni della mente oggettiva, e a selezionare, potare e perfezionare quelle della mente soggettiva, senza ignorare ciò che vive nella nostra “ombra”. “Ombra” sono gli aspetti emotivi oscuri, istintivi, passionali della personalità, relegati nell’inconscio: il nostro compito è porre attenzione e ascolto a questa componente per portarla alla luce, quando possibile, e inglobarla nel Sé. Ci sono pseudo/anti-culture che esaltano questa componente del Sé, ma per i sani di mente una vita centrata sull’esaltazione delle emozioni ma svuotata di senso provoca nausea: una vita vissuta nella frammentazione del tempo, impiegato nell’affannosa ricerca di nuove sensazioni, non può essere narrata perché è senza riferimenti.

Esiste infatti il tempo dello studio, del lavoro, delle relazioni, del divertimento: se non v’è il collegamento dato dall’intenzionalità e dal senso, se non v’è narrazione, si tratta di una sequenza di fatti immersi nella contingenza, interrotta dall’imprevisto. Poiché esso genera angoscia, viene avulso dall’orizzonte esistenziale mediante varie forme di stordimento digitale. Lo stesso scorrere del tempo ottimizzato dalle necessità pratiche della vita è ansiogeno. L’attitudine a desiderare, cercare e acquistare cose, ad ascoltare e ingurgitare notizie, ha un corrispettivo nella psicopatologia quale il sentire e descrivere sintomi ripetitivi che escludono la persona dalla vita reale. E’ la cogenza dell’immediatezza, la mancanza di collegamento con la vita reale fatta di relazione e di senso, a unire queste situazioni che non tengono conto della complessità della vita e del senso di meraviglia che può nascere dalla sua narrazione. A dare sapore alla vita è proprio l’imprevisto che vi erompe all’improvviso, comunque vogliamo nominarlo: ostacolo, muro, incontro, incidente, estasi. Quando invece tutto viene pedissequamente descritto secondo la legge della causalità, non c’è pathos, non c’è vita, non c’è l’uomo tutto intero. Ne conseguono l’assuefazione e la noia che annegano la riflessione, la concentrazione, lo stupore. La mente si spegne, il tono dell’umore è deflesso, le relazioni si spengono: la persona può scivolare nel disturbo mentale. Interviene allora il terapeuta che si pone in ascolto del paziente e riceve la sua narrazione: secondo il nostro approccio fenomenologico, il terapeuta non ingabbia il paziente in un proprio schema teorico (per esempio di tipo psicanalitico freudiano) che costituisce una narrazione personale tesa a giustificare persino il cattivo esito della cura all’interno di un processo mentale precostituito.

Al contrario, viene data rilevanza alla narrazione del paziente (che è già un passo nel processo terapeutico), sul cui contenuto viene sospeso il giudizio al fine di valorizzarne tutti gli elementi idonei alla cura. Il contenuto e le modalità espressive della narrazione, siano esse più o meno emotive, più o meno dotate di senso, forniscono elementi preziosi ai fini diagnostici e possono indirizzare la cura. Anche la narrazione dei sogni a occhi chiusi e dei sogni a occhi aperti vivacizzati dall’immaginazione creativa costituisce uno strumento prezioso ai fini terapeutici: lo dimostra per antitesi la constatazione che là dove non c’è ascolto della narrazione dei pazienti c’è crisi della Medicina. Dove c’è consapevolezza della crisi si ricorre all’insegnamento della Medicina narrativa.

Ogni persona ha una storia unica e irripetibile, e non può essere ridotto ad algoritmi (procedimenti di calcolo): di ciò deve tener conto l’intelligenza artificiale che genera linee-guida nella cura. Scrivete pensieri ed emozioni, abbiate fiducia nella vostra capacità di dare forma all’esistenza.

La partecipazione attiva dei presenti, giovani e adulti, è documentata dalle risposte fornite ad alcuni quesiti che forniscono l’occasione per una riflessione.

1) QUALE MEZZO USO PREVALENTEMENTE PER COMUNICARE CON GLI ALTRI (MESSAGGIO SCRITTO, PARLATO, LETTERA, VIDEO..)?

Il gruppo degli adulti ha esternato un pensiero comune e unanime; la modalità di espressione più utilizzata per la comunicazione interpersonale è risultata la forma parlata -il dialogo-: considerata la più idonea per interagire efficacemente, senza fraintendimenti. Sono usati anche i messaggi scritti, soprattutto quelli ‘veloci’, per la trasmissione di informazioni rapide. C’ è chi evidenzia una certa importanza attribuita al genere scritto della lettera, usata soprattutto per veicolare sentimenti ed emozioni.

Anche il gruppo dei giovani ha mostrato una visione comune, orientando però la forma comunicativa privilegiata verso la messaggistica scritta e le piattaforme ‘social’: solo una Ragazza evidenzia che il dialogo ‘face-to-face’ facilita, a suo parere, la comprensione e l’ intenzionalità dell’ interlocutore; le altre rivelano che la forma scritta è di importante ausilio per una miglior possibilità espressiva.

2)QUANDO USO I “SOCIAL” MI SENTO LIBERO O CONTROLLATO?

Quindici adulti su sedici denotano un netto disagio nell’ utilizzo dei social (sensazione di controllo, di giudizio, di privazione di libertà); per questo motivo, la maggior parte di loro afferma di non usarli / non volerli utilizzare.  Un solo adulto si sente, invece, ‘libero’ di usufruire di essi.

Al contrario, tre su quattro dei giovani esprimono un utilizzo in totale libertà, nonostante la consapevolezza delle dinamiche sottese e delle insidie nascoste.

3) CHE RAPPORTO HO CON I MEDIA DIGITALI (LIBERO, OCCASIONALE,

DIPENDENZA..)?

Gli adulti rivelano un rapporto ‘libero e occasionale’ con i media digitali: esprimono di usarli fondamentalmente per la consultazione di notizie, senza sentirsi da essi dipendenti per tempo o compulsività di utilizzo.

Tutti i giovani riferiscono invece, con molta autenticità e sincerità, un certo rapporto di dipendenza dai media digitali. I Ragazzi -denotando una profonda consapevolezza dei meccanismi sottesi- ben descrivono i motivi del loro impiego: sottoporsi agli stimoli della rete -nei suoi aspetti più differenti- diventa una strategia per ‘non pensare’, per provocarsi un allontanamento / distacco anestetizzante dalla realtà e una sensazione di ‘stordimento’. Una ragazza esplicita di sentirsi assoggettata, di non riuscire a sottrarsi alla rete: provando poi un senso di frustrazione per il tempo perso e denotando la sensazione di malessere conseguente “mi sottopongo a stimoli che mi fanno stare male senza averne consapevolezza, perché è come se fossi completamente assente”.

Gli stimoli del web sono descritti anche come ‘funzionali’ a combattere la noia, ma dopo un utilizzo eccessivo di essi -processo che non si riesce a dominare e ridurre-   viene descritta una sensazione di ‘intontimento’ dissociativo.

4) HO SCRITTO O SCRIVO I MIEI PENSIERI, LE MIE EMOZIONI?

La maggior parte degli adulti sostiene soprattutto di aver scritto in passato, qualcuno ancora annota pensieri ed emozioni su agende o quaderni; questa modalità viene considerata utile, ma si lamenta soprattutto la mancanza di tempo per potersi fermare a riflettere e ad immortalare sensazioni e riflessioni.  C’è chi riterrebbe importante farlo, ma lo considera ‘un grande sforzo’, perché troppo pesante avvicinare le emozioni dolorose, mettersi in contatto con esse e affrontare. Un solo adulto esterna di non averlo mai fatto.

Tutti i Giovani hanno espresso, invece, di averlo fatto; uno di questi ha affermato di aver volontariamente smesso di farlo, mentre per gli altri -soprattutto per due di loro- scrivere è ancora molto importante. Ciò risulterebbe infatti ‘liberatorio’; aiuterebbe a vedere le cose ‘da un altro punto di vista’, giovando soprattutto quando le emozioni sono disturbanti e ‘negative’, tormentose e angoscianti.

5)CHE COSA USO PER AFFRONTARE LE EMOZIONI CAUSATE DA SITUAZIONI E AVVENIMENTI DIFFICILI, DOLOROSI?

Dieci adulti su quattordici indicano di affrontare le emozioni pesanti, causate da eventi difficili e dolorosi, attraverso l’interazione e il confronto con persone di fiducia -talvolta famigliari- .  La maggior parte di loro indica l’importanza di una preventiva riflessione personale -ottenuta talvolta anche tramite un opportuno isolamento- , che permette di distaccarsi emotivamente, di controllare gli impulsi, di ‘mettere a fuoco’,  di valutare ‘a mente fredda’ e lucida il contesto. Tre adulti sostengono essere via preferenziale, nelle circostanze avverse, la preghiera: ritenendo l’interazione con Dio un ‘punto fermo’ (‘la fede è sapere di non essere sola’). Per una persona del gruppo, scrivere e ascoltare musica è motivo di grande consolazione e conforto, poiché permette la rievocazione di ricordi, sensazioni ed emozioni.

I Giovani riconoscono di trovare conforto sostanzialmente in una dimensione maggiormente introspettiva, sottolineando la necessità di ricercare -in primis- un certo equilibrio e ordine interiore, per non ‘perdersi’. Utilizzano, a tale scopo, strategie e mediatori differenti come le tecniche espressive -la scrittura, la fotografia- o modalità più proiettive, come la letteratura e l’arte  (‘mi riconosco nelle opere degli autori che danno voce ad emozioni e pensieri per me intollerabili’).

Una giovane riferisce di usare, a volte, strategie ‘disfunzionali’ mentre una compagna sottolinea l’importanza del confronto con qualcuno: che presuppone coraggio e la capacità di un preventivo dialogo interiore.

 

 

 

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